MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA del Gruppo FB SCRITTORI IN GIOCO per il racconto GLI UOMINI TRITONE DELLA DOLENJSKA al contest LEGGENDE SLOVENE (che prevedeva la creazione di una leggenda ambientata in Slovenia). Di seguito il racconto.

GLI UOMINI TRITONE DELLA DOLENJSKA

Era maggio inoltrato, il profumo dell’erba riempiva la mia voglia di vita e coloravo i sogni coi riflessi che il sole disegnava nel fiume Krka. Seduto su un masso, cercavo riparo dalle prime delusioni degli amori adolescenziali, quando un movimento rapido attirò la mia attenzione.

Sulla riva, in un punto nascosto della grande ansa che fronteggia Novo Mesto, c’era la creatura più strana che avessi mai incontrato. Era alta quanto un bambino, aveva la pelle blu, mani palmate e una lunga e robusta coda. Seguiva il volo di una libellula, ridendo di gioia. Quando i nostri sguardi si incrociarono, si tuffò in acqua scomparendo in un battibaleno.

Ero spaventato, incredulo ma calmo e in pace con me stesso. La sua risata era il suono più confortante che avessi mai udito. Rimasi a fissare il fiume per qualche minuto, poi aprii la mia bisaccia, estrassi il taccuino e i colori che portavo sempre con me. Ritrassi la libellula, che nel frattempo si era appoggiata a un ramo e lasciai il disegno dove ero seduto, fermato da un piccolo sasso.

Nei giorni seguenti, tornai spesso in quella radura, finché un pomeriggio assolato e caldo notai che il foglio era sparito e intorno al masso volava un gran numero di libellule blu. Mi sedetti, lasciando che la primavera mi entrasse dentro, circondato dai suoni del bosco e dai profumi del prato. Mi sentivo osservato, eppure non riuscivo a scorgere nessuno. Anche se non potevo vederla, ero certo che la creatura mi stesse osservando. Decisi allora di disegnare un fiore e lasciai il foglio nello stesso punto dell’altra volta, prima di incamminarmi verso casa.

Nel frattempo, la mia vita continuava e non avevo fatto parola con nessuno di quello strano incontro.

Quando tornai al fiume, il disegno era sparito e intorno alla roccia c’era un’impressionante fioritura di margherite.

Cominciò così: io imprigionavo la bellezza della natura in un dipinto e il giorno dopo mi ci trovavo immerso, i soggetti dei miei disegni che prendevano vita, moltiplicati e reali.

Continuammo in questo modo per giorni e giorni, sino a un pomeriggio di giugno, quando già mi stavo incamminando verso casa.

-         I tuoi disegni mi piacciono molto.

Un brivido mi percorse la schiena, mentre il mio cuore si riempiva di gioia. Mi voltai lentamente e lui stava lì, appoggiato a un albero, sorridente e un po’ impaurito.

-         Io sono Timoteus.

La nostra amicizia iniziò così e rimase segreta. Si nutriva delle poche ore che riuscivamo a passare insieme, ma si componeva di istanti che sapevano riempire le nostre vite.

Trascorrevamo il tempo a interrogarci sulle nostre esistenze, a riempire i vuoti che avevamo dentro con le avventure dell’altro. Io continuavo a regalargli disegni, lui li rendeva vivi.

Timoteus era l’ultimo esemplare della sua specie, quella degli Uomini Tritone. Non erano mai stati numerosissimi, ma negli ultimi secoli il loro numero si era ridotto sempre più e uno sversamento di sostanze tossiche nel fiume aveva ucciso qualche mese prima gli altri componenti del suo clan.

Aveva la capacità di infondere pace con la sua risata, il compito di equilibrare la natura: favorire la fioritura, guarire gli insetti malati, amplificare suoni e profumi, mantenere l’habitat più favorevole per le differenti specie.

Gli Uomini Tritone erano basilari per il mantenimento del buono stato di salute della natura nella regione e Timoteus, pur sembrando un ragazzino, non era eterno.

La vita continuava a fluire e alternavamo periodi di frequentazione assidua ad altri, nei quali era difficile ritagliarci il tempo per sedere su quel masso e ritrovare la nostra complicità.

Cercavo il mio compimento in sprazzi di gioia, donne che profumavano di libertà, tramonti dai colori caldi come un abbraccio, fondi di bicchieri che esalavano l’aroma del whisky e la delusione delle storie finite. Quando potevo, tornavo alla radura, al fiume che celava il segreto della mia amicizia più vera, mi sentivo parte di qualcosa di più grande e cercavo di trovare il senso di me all’interno di un quadro che forse dovevo cominciare a dipingere anch’io.

Le stagioni si alternavano, accompagnando i miei sbalzi d’umore, nascondendo nella neve le tracce della gioventù che mi abbandonava, riscaldando al sole la voglia di andare lontano e facendo rifiorire ogni volta la necessità di avere al mio fianco Timoteus.

Nel tempo, avevo fatto delle ricerche, immerso nel buon profumo che solo i libri antichi sanno esalare, perso nella lettura delle cronache della Dolenjska dei secoli precedenti. Le biblioteche della zona erano colme di documenti che menzionavano incontri e avvistamenti di strani esseri blu, sempre vicino al fiume Krka, prevalentemente nella zona tra Novo Mesto e Otočec, sfuggenti e timidi, veloci e inoffensivi. Col tempo, le testimonianze erano diventate sempre più rare e la gente era sempre meno propensa a credere a qualcosa che non sapeva spiegare.

I giorni fuggivano veloci, lasciandoci la scia degli anni che ci trovavano impreparati ad assaporarli appieno, le notti ci coglievano nel mezzo di attività che non riuscivamo a portare a termine, i pensieri si facevano cupi e pesanti e all’innocenza subentrò la preoccupazione, la guerra, la paura di chi fino a poco prima consideravamo un fratello. Il mio lavoro e qualche fugace amore, mi portarono distante dalla mia città, dal fiume che tanto amavo, da Timoteus.

Mi capitava sovente, guardando le stelle dalle stanze d’albergo e dagli appartamenti che mi accoglievano senza sapermi far sentire a casa, di pensare a lui, alle nostre chiacchierate, a quel rapporto speciale che si era consolidato tra di noi, così diversi eppure così uguali nel sentirci soli e bisognosi di qualcosa che potesse dare un senso alle notti insonni e allo scorrere delle nostre vite.

Passarono anni senza poterci incontrare e a volte mi sembrava quasi di aver sognato tutto, di averlo creato io con la mia immaginazione, per potermi ritagliare un momento speciale in cui rifugiarmi ogni volta che un respiro si dilatava troppo, che il cuore prendeva il sopravvento e saltava un battito, quando dovevo credere di vivere e non limitarmi a sopravvivere.

Persi per strada carriera e amori, tornai a rifugiarmi nelle bottiglie, che si svuotavano sempre più velocemente, come pure i miei risparmi, e nelle notti di sesso a pagamento. Il mondo stava cambiando troppo velocemente e io mi sentivo ancor più vecchio dei miei cinquantotto anni.

Decisi che era tempo di tornare a Novo Mesto, di far parte ancora una volta del destino che mi era stato assegnato, assecondando il fluire della vita, senza ribellarmi al suo scorrere.

Ero solo con la mia rabbia, la rassegnazione e le bestemmie che avevano accompagnato quello che percepivo come un fallimento: non tanto l’aver dovuto rinunciare a ciò che avevo rincorso per mezza Slovenia, ma il non aver capito che avevo già tutto quello che mi serviva e averlo abbandonato.

Lasciai scorrere pigri alcuni giorni, che accumulavano sulla pelle e nell’anima una polvere che sembrava irretirmi e impedirmi di uscire dalle sabbie mobili che imprigionavano la mia mente e la mia volontà.

Poi finalmente trovai la forza di scrollarmi di dosso il senso di impotenza che stava guidando il mio futuro verso un nulla in cui non trovare soddisfazione e mi recai nel bosco, fino a raggiungere la radura che mi era stata tanto cara. Mi sedetti ancora una volta sul masso che tante volte aveva accolto il mio corpo e rimasi per ore ad aspettare. Di Timoteus nessuna traccia. Tornai ancora nei giorni successivi, ma senza incontrarlo. Temetti che fosse morto. Lasciai infine un disegno, come ai vecchi tempi, sperando che prima o poi lo trovasse e che la farfalla ritratta potesse volare grazie a lui. I giorni passavano e di tanto in tanto tornavo al fiume, ma il foglio era sempre là, finché un giorno non lo trovai più e un gruppo di farfalle variopinte allietava il prato.

Mi sedetti e aspettai a lungo. Quando stava per calare la sera, udii dei passi nell’erba e mi trovai davanti l’amico più caro, quello di cui ero addirittura arrivato a dubitare dell’esistenza. Restammo in silenzio per un po’, non c’era bisogno di parole per esibire la felicità che provavamo.

Per la prima volta in tanti anni, ci abbracciammo.

L’Uomo Tritone appariva ora vecchio e stanco, il tempo cominciava a lasciare tracce anche su di lui. La risata e lo sguardo erano sempre quelli di un bambino, ma l’amico di tante giornate era ora racchiuso in un corpo più debole.

Ci vedemmo quasi ogni giorno per tutta l’estate, poi i nostri incontri incominciarono a diradarsi, fino a divenire rari durante il freddo inverno che ci sorprese quell’anno. Dalla primavera successiva ricominciammo a frequentarci e continuammo a vederci per gli anni a venire.

A marzo di due anni fa, durante una delle nostre chiacchierate, Timoteus mi manifestò la sua più grande preoccupazione: tutta la sua genia si sarebbe estinta con lui, che ormai anziano anche per i loro standard e soprattutto solo, non aveva alcuna possibilità di lasciare eredi. Si prospettavano tempi duri anche per la natura della regione, anche se in quel momento l’unica cosa che mi preoccupava era la sorte della creatura blu seduta di fianco a me.

Tornai da lui il giorno successivo, anche se la camminata verso la radura diventava ogni giorno più difficoltosa, alla luce dei miei ottant’anni e della malattia che già allora mi stava divorando. Parlammo a lungo, ci soffermammo su alcuni dei delicati meccanismi che consentono l’equilibrio tra la flora e la fauna e quando lui si tuffò nel fiume, io estrassi il mio taccuino e gli lasciai un disegno.

Questa volta aspettai qualche giorno a tornare, ma quando lo feci la mia gioia fu immensa: quattro giovani Uomini Tritone mi fissavano insieme a Timoteus, che era riuscito ancora una volta a dar vita a ciò che avevo impresso sul foglio. Non potevo lasciare che l’umanità rimanesse senza di loro e avevamo la soluzione a portata di mano.

Se vorrete scorrere la cronaca locale degli ultimi mesi, troverete traccia di numerosi avvistamenti di strane creature, una rinnovata linfa vitale nelle nostre foreste e racconti di chi crede di aver sentito una risata soprannaturale vicino al fiume Krka.

Io sono in questa stanza d’ospedale, debole ma felice, grato per aver potuto condividere con Timoteus parte del mio cammino.

Proprio mentre penso con nostalgia che non lo rivedrò più, dalla finestra aperta entra un gruppo di libellule, che circondano il mio letto. Sono blu, come quella che avevo disegnato dopo il nostro primo incontro, come la sua pelle, come il cielo che ho sempre considerato come il mio unico tetto.

Chiudo gli occhi, mentre una lacrima mi riga la guancia. Quanta bellezza ho avuto intorno, quanta il mio amico ne ha portata dentro di me. Non so se per me ci sarà un domani e se mi risveglierò, cosa potrò aspettarmi, ma ne è valsa la pena, è stato un viaggio intenso, a volte duro, ma unico e stimolante.

L’ultima cosa che ricordo sono i quattro piccoli Uomini Tritone che vidi due anni orsono e Timoteus che mi saluta, prima di tuffarsi un’ultima volta nel fiume.


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